Tutti i giardini giapponesi, che come le case tendono ad essere piccoli e possiedono recinzioni: esse fanno del giardino uno spazio privato con un’atmosfera di calma e di quiete; creano una divisione marcata tra il mondo della città e il mondo del giardino.
Il giardino del centro Nippotaku è infatti un mondo a parte rispetto a ciò che avviene all’esterno ed è filtrato da una recinzione costituita da una maglia metallica che, da un lato richiama con i suoi disegni il contenuto del Nippotaku, e dall’altra lascia passare lo sguardo attraverso le maglie e i cancelli in vetro.
L’edificio è visto come un atollo e i grandi massi sono isole in un mare di ghiaia circondato dalla vegetazione, disposta leggermente in pendenza in modo da formare una specie di cavea. La disposizione delle pietre e degli arbusti, sempre asimmetrica, ricorda la casualità della natura.
Uno dei principali legami tra giardino e casa è la veranda, essa ha la funzione di servire da accesso e di creare una continuità tra gli spazi interni e quelli esterni, poiché ha una copertura e dunque è interno, ma non ha parete e dunque è esterno, è privato e pubblico, è ma (spazio tra le cose) ed en è separazione e connessione.
I sentieri, oltre a guidare i movimenti all’interno del giardino, sono intesi a indirizzare i sensi e la mente, essi sono infatti utilizzati con effetti significativi: quelli diritti conducono l’occhio lungo il percorso fino alla fine, attirando l’osservatore a camminare per raggiungere il culmine del percorso che può essere un’entrata o il bacino del laghetto. I sentieri sinuosi invece attirano l’occhio solo fino alla curva, dopo di che una nuova prospettiva viene rivelata.
Il giardino zen all’interno dello spazio esposizioni è un richiamo di ciò che avviene all’esterno, yang dentro lo yin e viceversa: le rocce rappresentano isole circondate dalle onde del mare reso dalla ghiaia rastrellata in modo da formare un sottile disegno. L’uso della ghiaia per simboleggiare l’acqua è proprio dell’estetica Zen che distilla gli elementi fino alla loro essenza, incoraggiando l’osservatore a liberarsi dai limiti della realtà e dell’apparenza fisica per guidare la mente verso uno stato concettuale dove la meditazione e la contemplazione fluiscano indisturbate. Anche nel trattamento degli interni c’è distintinzione tra funzioni più classiche (palestra, sala da tè, spazio esposizioni), lasciate libere (sono tra l’altro gli unici ambienti ad avere le porte shojo in legno e carta di riso) e le funzioni dedicate ai più giovani: gli arredi della biblioteca/mangateca, anch’essi modulari, formano il simbolo del tao e le sedute della sala audiovisivi compongono uno smile dagli occhi a mandorla, e nel sushi bar i "tavoli- origami" riprendono gli "armadietti-origami della biblioteca/mangateca.